Sul crinale dell’emigrazione, voci a confronto: Europa, Svizzera, Italia.

Nel corso della Tavola rotonda hanno messo a confronto le proprie competenze e i propri punti di vista, il Dott. Francesco Antonio Genovese (Presidente di Sezione presso la Corte di Cassazione), il Prof. Paolo Bonetti (docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi Milano-Bicocca, il nostro socio e tesoriere Dott. Luca Minoli.

Coordinatore della serata il nostro socio Prof. Bruno Inzitari Presidente della Commissione Azione Professionale del Club e Professore Ordinario di Diritto Civile presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.

la Tavola rotonda si apre osservando che al 30 Novembre 2020 gli ingressi in Italia, nel corso del 2020, sono stati complessivamente di 32.000 persone, ma nonostante l’esiguità di questi numeri la percezione di molta parte della popolazione è stata che i numeri fossero decisamente più rilevanti.

La prima domanda per il Prof. Bonetti riguarda da un lato il tema del lavoro, ossia quanto l’immigrazione influisca sulla disponibilità di posti di lavoro nel nostro Paese e dall'altro in che modo siano vissuti i concetti di stranierità e di cittadinanza.

La risposta del Prof. Bonetti parte da lontano ricordando che gli italiani sono i secondi al mondo (ben 27 milioni), dopo i cinesi, per esperienza migratoria attiva. Il fenomeno migratorio verso l'Italia inizia a prendere consistenza nel 1974: non è dunque da considerarsi una emergenza, ma piuttosto un fenomeno da disciplinare.

In merito al lavoro, nel 1984 l’Italia firma la convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che prevede la parità di trattamento retributivo e previdenziale per i lavoratori che entrano e soggiornano nel nostro Paese e dunque da questo punto di vista la questione formale potrebbe dirsi risolta.

Il problema vero, però è giuridico e politico e riguarda gli ingressi nella UE. Sono previsti una quarantina di motivi per i quali è consentito l’ingresso nella Unione, dove come è noto, vige la libertà di circolazione, di soggiorno e di stanziamento, ma, in quanto al lavoro, ogni Stato può liberamente decidere la qualità e quantità degli ingressi: qui è la vera contraddizione, in quanto si entra irregolarmente dove le frontiere sono più deboli (Mediterraneo), e poi ci si sposta per lavoro in altri Stati.

In merito alla cittadinanza vige il criterio dello ius sanguinis, tipico di un Paese in cui la fase emigratoria è stata forte (come quella dell'Italia di molti anni fa).

Secondo l’Istat, per mantenere la stabilità demografica occorrerebbero circa 300.000 ingressi ogni anno. Se consideriamo circa 100.000 ingressi per ricongiungimenti familiari, 30.000 circa per lavoro, altrettanti circa per asilo politico, i restanti possono solo essere ingressi irregolari in mancanza dell’attivazione di una politica per la loro regolarizzazione.

Pensare alla cittadinanza significa pensare a cosa vogliamo essere in futuro: ci si augura di non diventare un Paese sempre più anziano che, peraltro, non è in grado di far rientrare i tanti italiani che sono all’estero.

L’esperienza francese è interessante, perché intorno al 1880, a seguito dello spopolamento dovuto alle guerre napoleoniche, viene vietata l’emigrazione dei francesi, se non nelle colonie. Lì, i criteri per l’acquisizione della cittadinanza vengono improntati allo ius soli con l’idea che almeno i figli degli stranieri che arrivavano in Francia potessero diventare cittadini francesi; questa politica ha cambiato il volto e il futuro della Francia. Oggi su 64 milioni di francesi, circa 19 milioni sono discendenti di stranieri (2 milioni di cittadini italiani sono diventati cittadini francesi).

Secondo calcoli demografici attendibili, nel 2050, mentre la Germania precipiterà al secondo posto in termini di crescita demografica, con un crollo verticale, il primo Paese dell’UE sarà la Francia la cui crescita demografica è costante.

Un altro importante aspetto del fenomeno migratorio riguarda il tema dei respingimenti e la mole di ricorsi collegati alle motivazioni delle richieste di soggiorno in Italia alle quali è sottoposta la Corte di Cassazione.

Il Presidente Genovese, ai dati incontestabili elencati dal Prof. Bonetti aggiunge un altro dato.

Negli ultimi anni, a fronte di un cambiamento qualitativo e quantitativo dell’immigrazione, la quantità delle domande di protezione internazionale è cresciuta a dismisura mettendo sotto forte pressione la stessa organizzazione giudiziaria.

 La Corte europea stabilisce che la valutazione del respingimento deve essere individuale e non collettiva; l'esame delle domande passa prima da una fase amministrativa di valutazione da parte delle Commissioni territoriali e, ove queste siano respinte, c’è la possibilità di ricorrere al giudice nei tre gradi di giudizio previsti.

L’impatto quantitativo è di grande rilievo; nel 2018 la Cassazione si occupava di circa 34.000 ricorsi annui, dei quali circa 1.700 erano relativi alla protezione internazionale: dunque una percentuale del 3,5% con una percentuale di accoglimento del 37% (accolti poco più di 400 ricorsi).

Nel 2019, su 4.750 ricorsi esaminati si passa al 10,8 % con una % di accoglimenti del 21,7%.

Il 2020, con l’aggravante della pandemia, ha visto 27.200 ricorsi, la Cassazione ne ha esaminati 6.000 relativi alla protezione internazionale e ne sono stati accolti il 15%; gli accoglimenti calano con l’aumentare dei fascicoli esaminati.

Per spiegare la diminuzione degli accoglimenti è importante sottolineare che, attraverso l’esame dei vari ricorsi, si è constatata una sorta di “standardizzazione” delle motivazioni dei richiedenti asilo. I ricorrenti utilizzano delle “narrazioni” standard (ad es. l’usurpazione della terra da parte dei parenti, oppure l'essere obbligati ad entrare in una setta segreta, quale la setta nigeriana degli Ogboni, oppure ancora contrasti di ordine religioso, etc.).

I giudici dei Tribunali di sezione territoriali valutano la narrazione e non risulta chiaro con quali considerazioni alcuni di questi accolgono i ricorsi in maniera massiccia, mentre altri, altrettanto massicciamente, li respingono; quelli respinti arrivano in Cassazione. Le ragioni per le quali i ricorsi vengono respinti si basano quasi tutte sulla scarsa credibilità del narrante; un altro elemento frequente riguarda la mancata indagine istruttoria che dovrebbe essere svolta per aiutare il migrante nella ricostruzione dei fatti. Infatti, in questa tipologia di cause civili, e solo in questa, è previsto un preciso obbligo per il giudice di aiutare il migrante nella ricostruzione dei fatti.

In conclusione, il contenzioso non è più, se non in minima parte, un contenzioso che riguarda l’espulsione, il respingimento o il ricongiungimento familiare, piuttosto c’è una gestione di massa di centinaia e centinaia di ricorsi che hanno come oggetto la protezione internazionale, ma anche una variante tutta italiana che si chiama protezione umanitaria.

Ancora il Prof. Bonetti risponde in merito alla concessione del permesso di soggiorno per gli extra comunitari e a quali siano da considerarsi legittimi motivi a sostegno della richiesta.

Tutta la disciplina è regolata dall'art.10 della Costituzione, ma, al di là del diritto di asilo, la situazione è paradossale.

Come già ricordato, in base alle norme europee e anche italiane vi sono 40 diversi motivi per la concessione del diritto di ingresso e di soggiorno, ciascuno dei quali prevede una condizione giuridica diversa: diventa quindi complicatissimo suddividere i flussi.

Attualmente, dopo 5 anni di soggiorno regolare ininterrotto, se si soddisfano i requisiti della mancanza di carichi pendenti, di possedere un reddito minimo pari all’assegno sociale, di disporre di in un alloggio e di conoscere la lingua italiana, si accede al permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo a tempo indeterminato.

Oggi ne sono titolari ben il 63% degli stranieri extra UE in Italia; dunque l’immigrazione straniera si è molto radicata. Tutti i 40 motivi escludono però gli asilanti in quanto per essi è richiesto un passaporto valido, mezzi di sostentamento, mezzi per il viaggio.

In tutta Europa e anche in Italia la richiesta di asilo NON è contemplata tra i 40 motivi per l’ingresso (anche se la Costituzione non lo vieta) e di conseguenza l’asilante è spinto a” buttarsi in mare” con tutte le terribili conseguenze che ben conosciamo.

Il Prof. Bonetti ci invita, proprio per renderci conto di quanto la storia si ripeta, a vedere il film di Pietro Germi del 1950 “Il cammino della speranza” in cui viene descritta l’immigrazione clandestina degli italiani verso la Francia, in assenza di una disciplina regolare per gli ingressi.

Dal 1982 ad oggi l’Italia è stata costretta a ben 9 procedimenti di regolarizzazione nei confronti di immigrati presenti nel nostro territorio e impiegati irregolarmente presso fabbriche e famiglie.

Secondo il Professore l’idea che bloccare gli sbarchi risolva il problema è assolutamente velleitaria: se non si risolvono le gravissime cause, tra le quali quella del bisogno economico per le quali le persone emigrano, queste continueranno inevitabilmente a spostarsi.Sempre nell’ottica dei corsi e ricorsi storici, il Professor Bonetti cita la Conferenza di Evian del 1938, una brutta pagina della storia europea.

Anche l’intento di aumentare le espulsioni si è rivelato difficilmente applicabile in quanto mancano gli accordi con i Paesi di origine per i rimpatri, che a loro volta non sono possibili fintanto che non si definisce una regolamentazione dei flussi.

La buona notizia è che dal 20 Dicembre 2020 sono state introdotte con il Decreto della Ministra Lamorgese alcune importanti modifiche proprio riguardo il permesso di soggiorno: in particolare viene inserito nella legislazione italiana ciò che è già previsto da 20 anni nella legislazione francese, “Il diritto alla protezione della vita privata e familiare”.

Ciò consentirà anche alla Corte di Cassazione di rileggere la questione della protezione umanitaria valutando in modo più ampio, in funzione della concessione del permesso di soggiorno, quanto è forte il radicamento del richiedente nel nostro Paese.

L’auspicio del Prof. Bonetti è che si riveda la legge sulla cittadinanza e che si spostino più risorse sull’assistenza e sulla famiglia e che venga reinserita la possibilità per lo straniero, in vigore fino al 2002, di cercarsi un lavoro (come avviene negli altri paesi della UE) e non di essere chiamato su richiesta del datore di lavoro.

“Noi siamo sicuri se quelli intorno a noi sono sicuri”

In chiusura l’interessante caso della Svizzera brillantemente descritto dal nostro socio Luca Minoli la cui relazione si trova nella documentazione allegata, unitamente alle slide del Prof. Bonetti.