Ei fu”: l’Ode manzoniana compie 200 anni
A 200 anni dalla scomparsa di Napoleone il nostro club, alla presenza del Presidente della Fondazione Studi Manzoniani, prof. Angelo Stella, ha reso un duplice omaggio al grande scrittore e poeta che dedicò l'Ode “Il Cinque Maggio” al personaggio storico “fuori misura” e al personaggio medesimo, con una serata speciale che si è sviluppata in tre momenti:
lettura dell'Ode da parte di Fabio Zulli, attore formatosi alla Scuola del Teatro “Filodrammatici” di Milano;
- presentazione dell'Ode da parte della dott.ssa Jone Riva, responsabile della conservazione scientifica della Fondazione Studi Manzoniani;
- tour virtuale sulle tracce di Napoleone a Milano, a cura di MAART.
Fu il 17 luglio 1821, leggendo il numero della Gazzetta di Milano del 16 Luglio nel giardino della sua villa di Brusuglio- ci dice la dott.ssa Riva- che Alessandro Manzoni seppe della morte di Napoleone Bonaparte avvenuta il 5 maggio dello stesso anno nell’isola di Sant’Elena dove era stato esiliato. Si sa che al leggere la notizia, Manzoni provò un’emozione fortissima e si mise a declamare dei versi della Mascheroniana di Vincenzo Monti dedicati a Napoleone, quindi entrò in un capanno situato nel giardino della villa (immagine): «Voglio scrivere anch’io dei versi intorno a Napoleone».
E in effetti, in due intensi giorni di lavoro compose l'Ode, in altri due giorni la perfezionò.
La nostra relatrice ci mostra il testo autografo, che rivela l’impeto della scrittura e le tensioni delle correzioni.
Dopo aver composto l'Ode con una rapidità decisamente estranea al suo temperamento riflessivo, Manzoni la sottopose alla censura austriaca, che non ne consentì la pubblicazione.
Manzoni ebbe però l'accortezza di prepararne non uno, bensì due esemplari: di questi, uno fu trattenuto dal censore, mentre l'altro fu fatto circolare in forma manoscritta, anche al di fuori del Regno Lombardo-Veneto.
Lo stesso Manzoni così racconterà in seguito, agli amici che accoglieva nella “Sala rossa” della sua dimora a Milano .
“Son ricorso a un artifizio. Prevedendo la proibizione della censura austriaca, ne ho fatto fare due copie al mio fattore, che aveva una bella calligrafia e poi le ho presentate tutte e due alla Censura, giacché era una antica legge, ora andata in disuso, che si dovessero presentare due copie di ogni manoscritto da pubblicarsi. Ho sperato, come infatti avvenne, che una delle copie mi sarebbe stata restituita col divieto della pubblicazione, e l’altra sarebbe rimasta in mano di qualche impiegato della Censura, che l’avrebbe poi fatta vedere. Così fu; e per quindici giorni il Cinque Maggio, uscito dalle mani di questo impiegato, girò manoscritto per Milano, e quindi fu portato a Lugano, dove venne stampato; e di là andò in giro per tutto il mondo.”
Il Cinque Maggio ebbe vastissima eco; tra gli ammiratori principali vi fu il grande scrittore tedesco Johann Wolfang von Goethe che tradusse l'Ode nel 1822 per poi pubblicarla nel 1823.
La prima edizione italiana venne stampata ‘fuori confine’, a Torino, nel 1823, presso l’editore Marietti, in coda agli Inni Sacri e all'interno di un opuscolo dal titolo Cinque Inni Sacri e un’Ode di Alessandro Manzoni milanese, e subito ristampata con nuove aggiunte, nel 1824.
Scrive l’editore Giacinto Marietti:
“L’edizione, che già pubblicai di alcune Odi ed Inni dell’esimio poeta signor Manzoni, fu con tanto favore accolta e giustamente apprezzata, che, trovandosi quasi interamente esaurita, mi si rendeva impossibile di soddisfare alle frequenti domande che giornalmente ne ricevevo.”
Le copie manoscritte si moltiplicarono passando di mano in mano.
Un volume a cura di Carlo Attilio Meschia, uscito nel 1883 a Foligno, raccoglieva ben ventisette traduzioni: in latino (6), in francese (3), in spagnolo (7), in catalano (1), in tedesco (8), in inglese (1), in portoghese (2) e di queste ultime, una di Dom Pedro de Alcantara, imperatore del Brasile (1871).
Non mancarono – e Manzoni del resto se le attendeva – le voci critiche.
Gli fu imputato di aver scritto un’Ode senza citare il nome della persona celebrata, non piacque l’invocazione alla Fede contenuta nella penultima strofa (all'epoca diffusa in lezione diversa da quella che noi oggi conosciamo), fu accusato di avere usato termini obsoleti o poco raffinati come sovvenir (e dei dì che furono / l’assalse il sovvenir ) o l’espressione il disonor del Golgota.
Scrive lo stesso Manzoni all’amico Jean Baptiste de Montgrand, da Brusuglio il 30 luglio 1838:
[traduzione dal francese] “Per il disonor del Golgota, io ho realmente voluto dire: la santa ignominia della Croce; ma non ho saputo dirlo. Signore, voi vedete che la mia frase era, o voleva essere, una imitazione di quelle conosciute di San Paolo: Christum crucifixum, gentibus stultitiam, improperium Christi. “
E agli alunni del Seminario Vescovile di Trento che gli avevano scritto chiedendo spiegazioni, il 10 maggio 1845 risponde:
“Pregiatissimi Signori, un’eccessiva indulgenza non ha permesso alle Signorie Loro di rammentarsi che ciò che non si fa intendere, non merita d’essere inteso. Nello sciagurato verso, di cui mi chiedono così gentilmente la spiegazione, io ho voluto, e non ho saputo, esprimere l’improperium Christi dell’Apostolo.”
Manzoni dunque ha voluto ricordare al lettore “chè più superba altezza | al disonor del Golgota | giammai non si chinò”: Napoleone, in questo modo, viene interpretato come un uomo dalla personalità grandiosa e dallo straordinario ingegno bellico che, nei suoi ultimi frangenti di vita, seppe rinnegare il proprio orgoglio e chinarsi al legno del Golgota, abbracciando in questo modo la fede cristiana.
Ma l’aneddoto forse più famoso e conosciuto che aiuta a comprendere non solo un verso ma lo spirito del Cinque Maggio è narrato- sottolinea la nostra relatrice- da Antonio Stoppani nel suo volume “I primi anni di A. Manzoni”:
“Il giorno 14 giugno del 1800 Napoleone era vincitore a Marengo. Il 17 entrò in Milano). Gran parte dell’Italia era in festa: Milano in delirio. Vi erano però anche di quelli che non volevano saperne di quelle baldorie … Il gentil sesso è poi sempre il più vivace nelle sue manifestazioni d’odio e d’amore. Ecco come il primo Console sarà venuto facilmente a sapere che la contessa Cicognara di Bologna, la quale allora si trovava a Milano, era forse la più ardente delle sue nemiche.
Una sera che il teatro alla Scala era onorato dell’intervento del Primo Console, il giovinetto di quindici anni, stava nel palco della contessa. In quella sera Napoleone parve che volesse sfidare e punire l’antipatia della contessa, sicché tenne ostinatamente gli occhi fissi a quel palco, che pareva volesse fulminarla. Il Manzoni incantucciato presso la vittima, non poté mai staccare i suoi occhi dall’eroe. ‘Che occhi!’ diceva egli, parlandone una volta ad un amico ne’ suoi ultimi anni, ‘che occhi aveva quell’uomo!’ ‘Allora sono quegli occhi – disse l’amico celiando – che le hanno dettato quel verso: ‘Chinàti i rai fulminei’. ‘Proprio così – rispose il Manzoni – proprio così’.”