Relazione a cura della Prof.ssa Valeria Della Valle
 
Già docente di Linguistica Italiana all’Università di Roma “La Sapienza”, Valeria Della Valle ha pubblicato saggi su antichi testi toscani, sul lessico delle arti, sulla prosa dei narratori contemporanei, sui neologismi. È socia corrispondente dell'Accademia della Crusca, fa parte del consiglio di amministrazione e del comitato scientifico della Fondazione Bellonci e del comitato direttivo del Premio Strega.
Sintesi a cura di Tiziana Orsini
 
La risposta al quesito nel titolo si articola su tre momenti temporali:
  • l’italiano del passato
  • l’italiano del presente
  • l’italiano del futuro
 
Per quanto riguarda l’italiano del passato si tende a considerarlo il bello, il puro, soprattutto perché viene fatto coincidere con il grande italiano della letteratura.
 
 
Proprio partendo da Dante sorge una prima obiezione: egli ha sì reso immortale la nostra lingua però la ha anche contaminata con parole volgari o addirittura inventate.
Si pensi ad esempio al verbo “squadernarsi” (canto XXXIII del Paradiso) che viene usato tuttora sia in senso concreto che figurato nel suo significato fondamentale – “appare disperso e frammentario” - come i quaderni separati di un libro.
Oppure ad un verbo come “inurbarsi” (canto XXVI del Purgatorio) “lo montanaro….ammuta,/ quando rozzo e salvatico s’inurba, -“ entra in città”-.
La lingua del passato è identificata molto spesso con la lingua scritta anche se, all’interno di questa lingua che ricordiamo come assolutamente perfetta, si ritrovano  delle “trasgressioni” o neologismi non conformi alle regole, come quelli prima citati.
 
 
Fondamentale nel mantenere la lingua scritta è stata l’azione di un grande umanista veneziano Pietro Bembo che nel 1525 scrisse il trattato “Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua”.
Il suo merito principale fu quello di contribuire in maniera significativa alla codificazione dell'italiano scritto: in quell’opera sosteneva che, accanto ai grandi scrittori fiorentini del 300, la lingua volgare aveva raggiunto un livello di armonia e di perfezione assimilando per la poesia Petrarca a Virgilio e per la prosa Boccaccio a Cicerone considerandoli come modelli.
 
 
A Bembo si aggiunge poi l’opera dei lessicografi -redattori dei dizionari, in primis l’Accademia della Crusca che nel 1612 produsse il primo vocabolario che comprendeva solo parole della lingua toscana, in particolare il lessico degli scrittori fiorentini del Trecento (Dante, Petrarca, Boccaccio)   e gli autori del XIII secolo.
Non venivano dunque considerati grandi autori come il Tasso (la sua lingua non coincideva con il fiorentino) e neppure un grande poeta come il napoletano Giovan Battista Marino fondatore della poesia barocca.
La tensione che attraversa tutta la storia della nostra lingua tra la regola dominante e la volontà di oltrepassarla ha dato luogo a fenomeni tra i più interessanti della nostra storia letteraria.
 
 
Il “balzo” storico ci porta direttamente ad Alessandro Manzoni e al suo romanzo che, nella redazione finale, ha dato un contributo linguistico incalcolabile fornendo un nuovo modello di lingua letteraria, un modello libero dell’antico “cancro della retorica“, come sosteneva un grande linguista dell’Ottocento, Graziadio Isaia Ascoli.
Manzoni si è a lungo dibattuto sul tema della lingua: infatti per il suo romanzo, indirizzato ad un pubblico più ampio e nel quale venivano trattati problemi vivi nella coscienza contemporanea, voleva una lingua che fosse facilmente comprensibile e non più legata alla tradizione aulica e destinata a chi aveva una certa formazione culturale.
Con Manzoni si arriva dunque all’italiano moderno “in movimento” con ciò riferendosi al fatto che nella nostra lingua esistono continuamente spinte che tendono a modificarne alcuni caratteri.
A titolo esemplificativo il primo tratto di cambiamento è quello relativo ai pronomi personali: nell’ultima redazione dei Promessi Sposi egli, ella essa, vengono sostituiti con quelle che erano le forme già in uso nel parlato lui, lei, loro, laddove “Egli” viene solo utilizzato per riferirsi alla divinità.
Un secondo elemento di discordanza tra la norma e l’uso dell’italiano riguarda il sistema dei pronomi dimostrativi - questo – codesto e quello – laddove codesto scompare nella lingua moderna, con la sola eccezione del toscano o della lingua burocratica.
Un terzo elemento riguarda l’utilizzo del presente al posto del futuro, forma questa a lungo osteggiata dai puristi anche se, nell’italiano letterario, questo utilizzo si ritrova già in Dante, poi Macchiavelli, Foscolo, Manzoni fino ad autori più moderni come Bassani.
Altro tratto in movimento è dato dalla progressiva riduzione dell’uso del passato remoto ormai sostituito dal passato prossimo in particolare nel Nord Italia, mentre resta ancora vivissimo nella Calabria meridionale e in Sicilia.
Analogamente l’uso dell’imperfetto indicativo al posto del congiuntivo trapassato e del condizionale passato in quello che si definisce “periodo ipotetico dell’irrealtà.
Anche in questo caso non sono nuovi gli esempi di periodi ipotetici con l’indicativo nella letteratura del passato.
 
 
Merita una particolare attenzione, come ultimo esempio dell’italiano cosiddetto in movimento,  l’utilizzo del congiuntivo che, a dispetto della percezione comune, è ben lontano dall’essere scomparso e gode invece di ottima salute.
Anzi, tale percezione viene considerata dalla professoressa un fatto positivo in quanto sembra rappresentare una sorta di attaccamento degli italiani per questo modo verbale: succede infatti che la mancanza di un congiuntivo o il suo improprio utilizzo venga immediatamente notato e stigmatizzato (non mancano gli esempi di politici o commentatori …).
In merito all’ultimo punto della relazione e cioè quello che riguarda l’italiano del futuro la nostra relatrice non nasconde una certa difficoltà sulla possibilità di fare previsioni.
L’italiano del futuro sarà quello che gli italiani decideranno di far evolvere se per questa lingua mostreranno un reale attaccamento dove, per reale attaccamento, si intende che l’evoluzione nella tradizione deve provenire da azioni concrete a partire dalla scuola primaria.
Purtroppo l’esperienza dimostra invece che nei programmi scolastici si tende a privilegiare la letteratura e non l’analisi linguistica dei testi.
Ecco dunque che nei licei di 50 anni fa, l’analisi dei Promessi Sposi si faceva solo su base contenutistica senza che fosse in alcun modo spiegato perché quel romanzo è stato così fondamentale per lo sviluppo e l’evoluzione della lingua italiana.
 
 
Una ulteriore considerazione riguarda la criminalizzazione che spesso si fa dei social network considerati colpevoli della disgregazione della lingua italiana risultato di certe abbreviazioni quali ad esempio “x” al posto di “per” e “k” al posto di “che”.
Secondo Valeria Della Valle queste abbreviazioni, peraltro in forme diverse sempre esistite nella nostra lingua, non sono così negative, anzi, paradossalmente, l’utilizzo dei social ha consentito ad un numero grandissimo di persone di scrivere proprio attraverso mezzi che non incutono soggezione.
E dunque, persone che dopo la scuola dell’obbligo probabilmente avevano scritto solo la lista della spesa, si sono abbandonate a scrivere considerazioni personali.
Valeria Della Valle considera piuttosto un pericolo reale di contaminazione della nostra lingua l’eccessivo utilizzo di termini inglesi, anche perché molte sono le università che impartiscono i corsi, in particolare di materie scientifiche, totalmente in lingua inglese.
Il rischio è che progressivamente si arrivi ad una perdita del lessico che riguarda la scienza e questo sarebbe davvero imperdonabile in un paese che ha avuto in Galileo Galilei uno scienziato anche della nostra lingua.
Galileo Galilei ha raccontato al mondo le sue scoperte in italiano utilizzando anche nuove parole per indicare oggetti, fenomeni naturali, strumenti o invenzioni.
Un esempio per tutti: l’utilizzo della parola cannocchiale che metteva insieme due parole italiane, canna (cioè 'tubo') e occhiale, che significava 'lente’ al posto della parola di origine greca telescopio.
Se nei testi scritti l’uso dell’inglese fa parte di una dimensione globale della scienza, l’auspicio è che nella divulgazione orale e nell’insegnamento sarebbe bene mantenere la terminologia italiana.
Dipenderà solo da noi e dal nostro attaccamento alla lingua italiana trasmetterla alle nuove generazioni a partire innanzitutto dalla scuola e sostenendo alcune grandi istituzioni come la Treccani che contribuiscono a mantenere, diffondere, divulgare la nostra lingua.