Sfide e opportunità tra nuove competenze e nuove tecnologie -
ovvero
Relatore: Prof.Elio Franzini - Magnifico Rettore dell'Università Statale di Milano
Sintesi a cura di Tiziana Orsini
Non si può prescindere nella non facile sintesi della relazione del Prof. Elio Franzini dalla considerazione che egli è soprattutto un filosofo e che conseguentemente pensieri e riferimenti filosofici permeano la sua visione sulla innovazione e formazione.
Presupposto alla relazione è che l’innovazione non ha una definizione vera e propria e, come scriveva il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, non possiamo immaginare il futuro come immaginiamo il presente in quanto la storia avanza non con uno sviluppo lineare, ma piuttosto segue una linea curva la cui direzione muta costantemente.
Non è dunque facile definire l’innovazione perché probabilmente nel momento in cui si tenta di definirla, la storia può seguire delle svolte repentine e imprevedibili in grado anche di modificarne la definizione.
Il primo elemento da sottolineare è che l’innovazione comporta delle nuove competenze le quali però si sviluppano su base storica e sono quindi influenzate profondamente dagli eventi.
La pandemia ha ben dimostrato che queste competenze non possono più procedere in senso esclusivo come monadi isolate; il futuro della dimensione innovativa si deve porre in modo transdisciplinare.
Questo approccio non riflette un’addizione di discipline quanto piuttosto una loro modificazione e collaborazione reciproca e non solo tra discipline vicine tra loro. Proprio la pandemia ha dimostrato la possibilità di integrazione di scienze mediche, biotecnologiche, statistiche, sociologiche, ma anche umanistiche: i temi della privacy, della libertà soggettiva, della libertà individuale vs quella collettiva senza dimenticare il problema dell’etica e della bioetica sono imprescindibili ormai in tutti i processi di ricerca scientifica.
Per riuscire a comprendere la complessità del reale l’innovazione non può prescindere dalla necessità di incontro tra numerose discipline e anche la formazione dovrà risentire di questo approccio transdisciplinare in quanto occorrerà formare gli studenti a discipline che ancora non esistono, ma che si possono già intravvedere.
Una recente ricerca realizzata da Fast Future individua nei prossimi 30 - 40 anni professioni assolutamente nuove quali ad es. i costruttori di parti del corpo, il medico esperto in nanotecnologia applicata alla salute, la guida turistica spaziale, l’agricoltore verticale solo per citarne alcune.
La formazione deve dunque guardare oltre la dimensione del contingente per occuparsi del futuro possibile cercando di cogliere nel reale tutte le potenzialità che sono in esso.
Il concetto di possibile – ricorda il relatore- è una delle categorie che regolano il rapporto tra il soggetto e il mondo – le categorie della modalità – necessità, realtà e possibilità dove la più filosofica delle categorie è appunto la possibilità (Aristotele).
La differenza tra possibilità e realtà è che il primo termine si riferisce a qualcosa che non esiste ancora ma ha elementi per la sua realizzazione laddove la realtà è ciò che ha esistenza, cioè è stata realizzata.
E’ necessario ripensare le strutture organizzative della formazione superando le false dicotomie tra formazione umanistica e formazione scientifica; per questo la formazione deve uscire dai propri confini nazionali e integrarsi e confrontarsi con altre culture e realtà formative completamente diverse. Un esperimento in questo senso è già in atto con il gruppo di progetto UNIMI 2040, che ha il compito di individuare i possibili scenari futuri che riguardano la formazione, la ricerca e gli assetti di governance di una grande università multidisciplinare come la Statale. Vi collaborano 23 università research intensive che, insieme alla Statale, fanno parte della LERU (League of European Research Universities), l'associazione che raggruppa Atenei quali Oxford e Cambridge, Heidelberg e la Sorbona, Leuven e Utrecht, e le altre più prestigiose università europee.
Si tratta di un compito cruciale per contrastare la tendenza ad appiattirsi sulle dinamiche di breve periodo, proprio in una fase storica in cui bisogna guardare più lontano, per anticipare in qualche misura il futuro e attrezzarsi per tempo ad affrontarlo.
Il secondo punto da sottolineare è che per portare a compimento queste nuove sfide è necessario essere aperti alle nuove tecnologie: la digitalizzazione deve conformare tutte le discipline non solo quelle scientifiche. Non si deve disgiungere il sapere dalle tecnologie del sapere, ma occorre non sottovalutare elementi intrinseci di criticità, in primis quello relazionale che non può essere solo virtuale. Il relatore richiama la missione 4 del PNRR (meglio definito dall’acronimo europeo Next Generation EU – “YOU”) relativa proprio alla formazione sottolineando la necessità che ciascun giovane possa e debba essere protagonista di questa sfida di carattere innovativo.
Il PNRR ha senza dubbio bisogno di ingegneri, di tecnologia e digitalizzazione, ma ha bisogno anche di filosofia nel senso che non sarà possibile costruire nulla di duraturo se non ci sarà una forte realtà di spirito critico e soprattutto se non si cercherà di capire quelle che sono le destinazioni del futuro. Per cercare di rinnovare il nostro Paese in alcune direzioni queste ultime devono essere comprese e introiettate; non dobbiamo limitarci ai fatti, ma determinare il possibile che aiuti a migliorare le nostre vite e quelle delle prossime generazioni.
Dunque il relatore invita a guardare un piano di innovazione all’interno del possibile non in modo astratto, ma con un pensiero prospettico sulle conseguenze della sua realizzazione.
Ma di quali elementi occorre tenere conto all’interno della sfida dell’innovazione e della formazione per non rimanere vittime di un eccessivo ottimismo privo di pensiero critico?
A questo proposito il relatore fa riferimento a due filosofi del 1900, Martin Heidegger e Jean-Francois Lyotard. Del primo invita a leggere un saggio scritto nel 1936 - L’epoca dell’immagine del mondo - nel quale, dove si sottolinea che il concetto di scienza viene troppo spesso assoggettato ad una esasperata tecnologia, individua una profonda analogia con il tempo attuale.
Se un errore tecnico produce una conseguenza immediata, occorre però considerare con altrettanta attenzione che una cattiva interpretazione o una sottovalutazione di un testo “poetico” può influire, anche a distanza di tempo, sulla comprensione della dimensione storica.
Anche il secondo testo citato - La condizione post moderna – scritto nel 1979 dal filosofo Jean-Francois Lyotard, secondo il Prof. Franzini, potrebbe essere stato scritto durante la pandemia.
La domanda che il filosofo si pone è cosa accade nel momento in cui i saperi tradizionali che avevano una loro legittimazione, una loro storia, una loro narrazione perdono la loro legittimità.
L’epoca che Lyotard chiama “il moderno” di saperi ordinati e legittimati diventa “post moderna” in un mondo privo di grandi narrazioni, di fine delle ideologie e di mancanza di grandi ideali dove i saperi sono incerti e conseguentemente anche i modelli formativi sono incerti.
L’ idea di “Bildung” che indica sia il processo formativo incentrato sull'acquisizione della cultura, sia il processo che conduce a questa acquisizione è messa in discussione; può ancora esistere, si chiede il relatore, una idea di formazione unitaria all’interno di una società che ha perso molti elementi di sua intrinseca legittimazione?
Come possiamo costruire quei legami intergenerazionali sempre più difficili da costituire?
Ci sono ancora degli spazi e dei momenti in cui le generazioni possano dialogare per uno scambio generazionale? Nell’innovazione può ancora esistere un principio unitario di bildung in cui le generazioni possano avere degli scopi comuni?
Non ci sono purtroppo risposte definitive, ma per poter sperare che l’innovazione e la formazione come movimento formativo intergenerazionale possa continuare a sussistere, accanto all’integrazione dei saperi, non si devono dimenticare il rispetto e la compassione per l’altro, valori che devono permanere anche nelle sfide dell’innovazione.
Nel concludere la sua relazione il professore fa suoi i due obiettivi che negli anni 30 il Cardinale Montini, assistente dei giovani universitari, pose all’Università e cioè lo spirito critico ovvero l’autonoma capacità di giudicare e la carità intellettuale come disponibilità ad accogliere l’altro.
Non potremo mai innovarci se non saremo sempre di nuovo capaci di confrontarci con la differenza e di manifestare ciò che noi stessi siamo non con l’arroganza di chi è convinto di possedere la verità e la giustizia ma confrontandoci sempre con l’altro, con l’altrui modello cercando di inserire in esso la forte valenza di un grande e sempre vivo spirito critico.