Relatore Federico Vasoli Socio del Club

                       
 

Ingegneria e arte: il Golden Bridge a Da Nang Vietnam 

 
 
Premessa
 
Non è stato facile per il nostro relatore preparare questo intervento con il timore di cadere nell’autoreferenzialità o in una lezione frontale, volendo invece piuttosto trasmetterci delle sensazioni ed esperienze di vita vissuta.
Lo spunto per questa relazione nasce diversi mesi fa quando in Italia si faceva un paragone sul diverso approccio nei confronti della pandemia da parte dei paesi del Sud – Est asiatico quali il Vietnam, Taiwan, la Cina. In quei mesi, tra l’ottobre e il novembre 2020, il mantra che veniva costantemente ripetuto riguardava la possibilità di protestare contro alcune restrizioni, possibilità concessa nella democratica Europa mentre in Asia, a causa della presenza di sistemi autoritari, il dissenso non era consentito. Proprio in quei giorni invece, sostiene il relatore, si erano verificate le proteste in Tailandia, in Myanmar (ancora oggi in atto nonostante la brutale repressione), a Singapore e in Corea del Sud si sono svolte libere elezioni: dunque la realtà di quei luoghi non appare sempre così come viene raccontata.
Nonostante la pandemia di COVID-19 abbia avuto origine in Cina e non abbia risparmiato le popolazioni confinanti, i governi dell’estremo oriente hanno avuto maggiore successo nell’arginare il contagio rispetto all’occidente. Mentre l’Europa e il continente americano sono funestati dalla seconda / terza ondata pandemica, a Taiwan, Singapore, Hong Kong, Corea del Sud, Vietnam e nella stessa Cina il numero delle infezioni resta limitato. Non è semplice spiegare le ragioni di questo successo perché sono il risultato di un complesso intreccio di fattori organizzativi, sociali e culturali. 
 
 
Tuttavia, se questa risposta rapida ha funzionato, è stato anche perché non è stata affatto improvvisata. Sull’esperienza delle precedenti epidemie di SARS (2003) e MERS (2015), nei Paesi dell’Asia orientale i piani pandemici erano pronti e collaudati.
Oggi sono possibili tutti gli spostamenti all’interno dei singoli stati, i ristoranti sono aperti, e l’utilizzo delle mascherine, almeno in Vietnam, obbligatorio all’aperto, viene spesso disatteso, “per cortesia”,   all’interno dei negozi.
Non è ancora possibile però spostarsi da uno Stato ad un altro: è come se questi paesi vivessero ciascuno nella propria bolla e ne sta facendo le spese anche il nostro Federico, impossibilitato a rientrare a Singapore per vaccinarsi e per il rinnovo della residenza.
 
Qualche nota biografica
 
Il nostro socio che, prima nel Rotaract, poi nel nostro Club ha sempre attivamente partecipato alla vita milanese aggiunge qualche nota biografica per contestualizzare meglio la sua attuale situazione.
Nel 2002, a 22 anni, allora studente della Bocconi, si presentò l’opportunità di fare uno stage a Pechino della durata di 4 mesi e quella fu l’occasione per una prima conoscenza di quel mondo.
La Pechino di allora, a distanza di un ventennio, non esiste più e anche la Cina è profondamente cambiata: da una quasi idolatria per l’Occidente e in particolare per gli USA, è passata ad essere più nazionalista e più chiusa nei confronti degli stranieri e più autoritaria anche perché molto più potente.
Al suo rientro in Italia Federico si trova ad avere, tra i pochi, un’esperienza del mercato cinese in un periodo dove molte imprese italiane stavano appunto guardando con interesse a questo mercato e che quindi necessitavano di un supporto, ma, nonostante ciò, lo studio della famiglia Vasoli decide di non aprire direttamente in Cina.
Nel 2008 lo studio De Masi Taddei apre invece un ufficio in Vietnam (Hanoi e Saigon) dove si occupa di diritto commerciale, investimenti, contratti internazionali e consulenza sulle leggi che sono molto complicate e ciò consente a Federico di approfondire la propria conoscenza ed esperienza che gli consentirà nel 2018 di aprire un proprio studio, dMTV, separato rispetto a quello di famiglia, a Singapore e a Malta e di rilevare l’attività vietnamita.
 
Oggi
 
 La Cina ha assunto un ruolo quasi egemone dal punto di vista economico in molti paesi della regione e l’ha ottenuto soprattutto grazie al trasferimento prima delle proprie attività produttive e poi di tecnologia.
Mentre la Cina, pur con grandi contraddizioni (Uguri, Tibet, …) è un monolite dal punto di vista etnico linguistico, i paesi del sud est asiatico, Asean, presentano grandi differenze di cultura e religione, eredità anche del colonialismo europeo.
Questa ricchezza di cultura si traduce però anche in frammentazione e talvolta in lotte intestine, consentendo alla Cina di penetrare profondamente nelle economie di quei Paesi nei quali la borghesia cinese, di seconda e terza generazione, fa affari d’oro con la “madre patria: l’essere “cinese” è qualcosa che trascende l’essere cittadino della Repubblica popolare.
Anche il Vietnam, nel suo piccolo, è un paese monolitico dal punto di vista del funzionamento della macchina politica: il governo di Hanoi è saldamente al potere, esiste un’etnia maggioritaria “viet” sulle 50 presenti, ma non ci sono particolari tensioni etniche, religiose o linguistiche.
E’ un paese fiero della propria indipendenza, così come delle proprie tradizioni dove la religione più diffusa è il buddismo seguita dal cattolicesimo.
Dei 10 paesi Asean, il Vietnam con in parte Singapore è quindi l’unico baluardo vero che riesce a resistere in qualche modo all’avanzata commerciale cinese che pure è presente nell’area con grandi investimenti.
Non mancano le rivendicazioni territoriali sia da parte cinese che vietnamita: il confine marittimo rimane attualmente indefinito a causa della controversia sulla proprietà delle acque territoriali e di alcune isole del Mar cinese meridionale.
 
 
Al momento, la posizione del Vietnam rispetto alle dispute del Mar Cinese Meridionale è particolarmente rilevante in quanto un suo avvicinamento diplomatico alla Cina o agli USA potrebbe cambiare gli equilibri dell’area.
Per Washington, istituire un legame militare con Hanoi sarebbe un’importante risorsa per limitare il rafforzamento della posizione cinese nel Sud-Est asiatico. Tuttavia, una tale mossa allontanerebbe drasticamente Hanoi da Pechino, il suo maggior partner commerciale.
 
Per quanto riguarda i rapporti con l’Europa esiste dal 2020 un accordo di libero scambio tra UE e Vietnam.
 
 

In questa complicatissima situazione Singapore cerca di mediare tra i due blocchi ponendosi come un hub tra le due superpotenze.

 
 
Posizionata sullo strategico Stretto di Malacca e votata al commercio, la città Stato ospita un avamposto militare americano ed è legata economicamente ed etnicamente alla Repubblica Popolare. Si comprende dunque il timore delle ripercussioni del duello tra Washington e Pechino.
 La sua collocazione geografica e la sua efficienza unita a certezza del diritto e facilità nel fare impresa l’hanno resa uno snodo commerciale (secondo porto al mondo per traffico di container) e un centro finanziario di rilevanza globale.
Ma Singapore è legata alla Cina da demografia ed economia. La componente etnica cinese è quella maggioritaria: 74% dei 5,7 milioni abitanti totali. Pechino costituisce inoltre il primo socio commerciale e la prima meta di investimenti diretti esteri singaporiani.
In conclusione la crisi pandemica non ha scalfito le previsioni riguardanti il secolo attuale: il futuro è ancora asiatico. Come sarà l’era post-covid è tuttavia ancora incerto. Sull' Asean incombono le crescenti tensioni tra due dei maggiori partner economici del blocco, gli Stati Uniti e la Cina. Proprio questo attrito potrebbe influenzare il modo e la rapidità con cui le economie del Sud-Est asiatico si riprenderanno e la misura con cui giocheranno un ruolo da protagoniste nel mondo che verrà. Ma protagoniste resteranno.
 
Mentre pubblichiamo questo bollettino, il nostro Federico si è unito in matrimonio con la graziosissima Hang.
Da tutto il Club con tanto affetto i nostri più cari auguri.