Giuseppe Verdi, la sua musica, il suo mito e Milano

 
Con la consueta grande competenza e professionalità la nostra guida, Arch. Monica Torri di Maart, ci accompagna in un percorso virtuale non scontato sulla vita di Giuseppe Verdi.
 
       
                             
I due ritratti sembrano rappresentare i due aspetti, quasi contradditori, del carattere del grande compositore: in quello a pastello realizzato da Giovanni Boldini si vede un Verdi elegantissimo con la tuba e sciarpa bianca pronto per l’ingresso alla Scala laddove nella realizzazione scultorea di Vincenzo Gemito se ne sottolinea piuttosto l’indole riservata, quasi timida.
 
 
 
Giuseppe Verdi nasce il 10 ottobre 1813 a Roncole di Busseto, in provincia di Parma. Il padre, Carlo Verdi, è un oste, la madre invece svolge il lavoro della filatrice.
Verdi rimarrà sempre profondamente legato a questo luogo e in più occasioni affermerà: “ sono e sarò sempre un paesano delle Roncole”.
 
 
Il suo talento si rivela molto precocemente; fin da bambino prende lezioni di musica dall'organista del paese, esercitandosi su una spinetta scordata regalatagli dal padre che costituirà la sua prima palestra musicale.
Il cembalaro Stefano Cavalletti, chiamato a ripararla, fu tanto stupito dall'abilità con cui il ragazzino suonava da non pretendere alcuna ricompensa.
 
   
 
La fortuna di Verdi inizia quando Antonio Barezzi, commerciante di liquori che riforniva l’osteria del padre di Verdi e Presidente dei Filarmonici di Busseto intuisce il suo potenziale. Barezzi lo accoglie in casa sua pagandogli studi più regolari ed accademici e gli permette anche di assistere alle riunioni della società filarmonica di Busseto.
Qui incontra Ferdinando Provesi, direttore della banda, che diventa il suo primo vero maestro di musica.
 
   
 
Il salto di qualità avviene quando, diciottenne, nel 1832 si trasferisce a Milano dove incredibilmente non viene ammesso al Conservatorio sia per avere superato i prescritti limiti di età, sia – a detta dei giudici-  per una cattiva impostazione delle mani sulla tastiera e da ultimo perché forestiero.
 
 
Tra i molti cimeli conservati nel museo del Teatro alla Scala si trova appunto il passaporto in quanto all’epoca Roncole di Busseto era annessa al Ducato di Parma governato dalla Francia.
Per Verdi fu un’onta terribile che non perdonò: nel 1900 quando il Conservatorio gli propose di essere intitolato a suo nome rifiutò seccamente con le parole “non mi hanno voluto da giovane, non mi avranno da vecchio”, ma, l’anno successivo alla sua morte il Conservatorio verrà comunque intitolato a suo nome…..
 
 
La Scala però era l’obiettivo sia di Verdi che di Antonio Barezzi che, continuando nella sua opera di mecenate, gli aveva anche pagato un abbonamento per abituarlo all’ascolto della musica di moda all’epoca. Verdi in questo periodo si relaziona con gli editori Lucca e Ricordi e inoltre entra in contatto con Francesco Hayez. Il legame con il pittore lo influenzerà molto, in particolare il dipinto “I due Foscari”, ispirato ad un’opera di Byron che qualche anno verrà musicato su libretto di Francesco Piave.
 
 
Milano è cruciale per Verdi anche per crearsi un entourage utile per il suo lavoro: entra nel salotto di Clara Maffei frequentato, tra gli altri, oltre che da Hayez, da Honorè de Balzac, Franz Liszt, Massimo D’Azeglio; con la Maffei Verdi intrattiene un rapporto di amicizia molto profondo per tutti gli anni 40 ,  e per suo tramite viene introdotto non solo nel Gotha milanese, ma anche a Parigi dove conoscerà Giuseppina Strepponi che poi diventerà la sua seconda moglie.
 
 
Clara Maffei promuoverà nel 1868 l’incontro di Verdi con A. Manzoni verso il quale il compositore nutriva una profonda stima e ammirazione.
Dopo la delusione del Conservatorio Verdi viene richiamato a Busseto a ricoprire l'incarico di maestro di musica del Comune e, nel 1836, rientrato a Milano, sposa la figlia del suo mecenate Margherita Barezzi.
 
 
Nei due anni successivi nascono i figli Virginia e Icilio mentre Verdi comincia a dare corpo alla sua vena compositiva, già decisamente orientata al teatro e all' Opera.
Nel 1839 esordisce alla Scala di Milano con "Oberto, conte di San Bonifacio" ottenendo un discreto successo, purtroppo offuscato dall'improvvisa morte, prima di Virginia e Icilio poi nel 1840 della moglie Margherita. Prostrato e affranto non si dà per vinto e proprio in questo periodo scrive un'opera buffa "Un giorno di regno", che si rivela però un fiasco. Amareggiato, Verdi pensa di abbandonare per sempre la musica, ma solo due anni più tardi, nel 1942, il suo "Nabucco" ottiene alla Scala un incredibile successo, anche grazie all'interpretazione di una stella della lirica del tempo, il soprano Giuseppina Strepponi.
 
 
La genesi del Nabucco è ricca di aneddoti.
Si narra che l’impresario Bartolomeo Merelli , che gestiva gli spettacoli alla Scala , facesse scivolare  nella tasca del cappotto di Verdi il libretto di Temistocle Solera sul soggetto biblico di Nabucodonosor (inizialmente rifiutato dal compositore Otto Nicolai).
Lo stesso Verdi la racconta così:
 
“Strada facendo mi sentivo indosso una specie di malessere indefinibile, una tristezza somma, un’ambascia che mi gonfiava il cuore!…
Mi rincasai e con un gesto quasi violento gettai il manoscritto sul tavolo, fermandomi ritto in piedi davanti. Il fascicolo cadendo sul tavolo stesso si era aperto: senza sapere come, i miei occhi fissarono la pagina che stava a me innanzi e mi si affaccia questo verso:
Va, pensiero, sull'ali dorate.
Leggo un brano, ne leggo due:poi fermo nel proposito di non scrivere, faccio forza a me stesso,
chiudo il fascicolo e me ne vado a letto! Ma Nabucco mi trottava pel capo!.Il sonno non veniva: mi alzo e leggo il libretto, non una volta. Ma due, ma tre, tanto che al mattino si può dire ch'io sapeva a memoria tutto quanto il libretto di Solera”.
 
L’opera fu replicata ben cinquantasette volte, un risultato mai raggiunto fino ad allora per il teatro milanese. Nei tre anni successivi fu rappresentata anche a Vienna, Lisbona, Barcellona, Berlino, Parigi e Amburgo. Nel 1848 fu la volta di New York e nel 1850 di Buenos Aires.
Con il Nabucodonosor si apre la carriera di Verdi e ancora una volta le sue parole dopo la prima della Scala restituiscono il clima intorno all’opera.
 
Nabucodonosor 9 marzo 1842, Teatro alla Scala
 
«...se dovetti lottare contro tante contrarietà è certo però che il Nabucco nacque sotto una stella favorevole giacché anche tutto ciò che poteva riuscire male contribuì invece in senso favorevole (...) costumi raffazzonati alla meglio riescono splendidi! Scene vecchie, riaccomodate, sortono invece un effetto straordinario (...). La prima scena del tempio in specie produce un effetto così grande, che gli applausi del pubblico durano dieci minuti!»
 
Verdi viene letteralmente sommerso dalle richieste di tutti i teatri nazionali e anche internazionali; iniziano quelli che Verdi chiamerà "gli anni di galera", ossia anni contrassegnati da un lavoro durissimo e indefesso a causa delle continue richieste e del sempre poco tempo a disposizione per soddisfarle. Dal 1842 al 1848 compone a ritmi serratissimi: i titoli che sforna vanno da "I Lombardi alla prima crociata" a "Ernani", da "I due Foscari" a "Macbeth" quest’ultimo dedicato ad Antonio Barezzi che Verdi considera a tutti gli effetti il suo secondo padre.
 
  
 
In una lettera a Giulio Ricordi, Giuseppe Verdi scrive: 
 
«A chi fu mio secondo padre, ad Antonio Barezzi. A lui devo tutto, ma a lui solo! Nissun altro ha mai fatto per me il sagrifizio di un centesimo»
 
Tutta questa produzione gli consentirà di risolvere brillantemente la sua situazione economica fino ad allora piuttosto precaria e di acquistare nella sua terra di origine case e terreni.
Sempre in questo periodo, fra l'altro, prende corpo la sua relazione con Giuseppina Strepponi con la quale nel 1848 si trasferisce a Parigi iniziando una convivenza alla luce del sole.
La vena creativa è sempre vigile e feconda, tanto che dal 1851 al 1853 compone la celeberrima "Trilogia popolare", notissima per i tre fondamentali titoli ivi contenuti, ossia "Rigoletto” "Trovatore" e Traviata”.
Il successo di queste opere è clamoroso.
 
 
Conquistata la giusta fama si trasferisce con la Strepponi nel podere di Sant’Agata, frazione di Villanova sull'Arda (in provincia di Piacenza), dove vivrà gran parte del tempo.
Le opere successive nascono dopo un lungo processo di maturazione che si svolge spesso nella quiete della villa di Sant’Agata, eletta a ritiro prediletto dove difendere il proprio spazio più privato e personale, la sua immagine di “contadino” che amministra di persona la sua tenuta, scava pozzi artesiani, si interessa di argini, sementi, nuovi mezzi e metodi di coltivazione che lo spingono per primo a importare dall’Inghilterra le macchine agricole.
 
 
Nel 1857 va in scena "Simon Boccanegra" e nel 1859 viene rappresentato "Un ballo in maschera" dopo non poche vicissitudini dettate dalla censura borbonica.
I tempi erano maturi per darne una lettura risorgimentale tanto che in quella circostanza fu coniato il famosissimo slogan W Verdi.
 
 
Nello stesso anno sposa finalmente la sua compagna, il grande amore della sua vita,  con la quale aveva precedentemente convissuto a Sant’Agata suscitando moltissime critiche; viene inoltre adottata la figlia di un cugino di Verdi rimasta orfana, Maria Filomena.
 
 
Il momento storico legato alla riunificazione del Paese, siamo nel 1861, è anche il momento dell’impegno politico.
Viene eletto deputato del primo Parlamento italiano e nel 1874 è nominato senatore grazie anche all’interessamento di Cavour, ma ben presto abbandonerà la politica per dedicarsi completamente alla musica.
 
    
 
Il 1871 segna un nuovo grandioso successo con l’Aida che va in scena in arabo al Cairo, in occasione dell’inaugurazione del canale di Suez.
La scenografia è imponente e i musicisti suonano delle trombe particolari di antica fattura disegnate dallo stesso Verdi e fatte realizzare da un artigiano milanese.
 
    
 
Nel 1872 l’opera va in scena alla Scala; la cantante è Teresa Stolz che fu una interprete importante delle opere di Verdi e che aveva partecipato in qualità di protagonista ad un’altra opera chiave di questi anni la Messa da Requiem scritta nel 1873 per l’anniversario della morte di A. Manzoni che ebbe un grandissimo successo.
In una lettera al Sindaco di Milano Bellinzaghi, Verdi scrive:
 
“La Messa è un impulso, o dirò meglio, un bisogno del cuore che mi spinge ad onorare, per quanto posso, questo grande che ho stimato come scrittore e venerato come uomo modello di virtù e di patriottismo»
 
  
 
Verdi non fu solo un grande innovatore nella musica ma anche autore di una rivoluzione nel rapporto tra autore e utilizzatore tanto da essere considerato il padre della SIAE.
Fino ad allora i compositori percepivano un introito ogni volta che consegnavano uno spartito, ma, cedendo l’opera, il compositore di fatto cedeva anche tutti i diritti su questa.
Nessun compenso era dovuto per le successive rappresentazioni, ma soprattutto l’opera poteva essere modificata a piacimento secondo la volontà dell’impresario non sempre animato da un intento artistico. Sarà lo stesso Verdi, nel 1851, a criticare l’operato degli impresari con le seguenti parole:
 
“Questi impresari non hanno ancora capito che quando le opere non si possono dare nella loro integrità, come sono state ideate dall’autore, è meglio non darle; non sanno che la trasposizione di un pezzo, di una scena è quasi sempre la causa del non successo d’un’opera. Immaginati quando si tratta di cambiare argomenti!! “
 
 
Grazie al sodalizio con gli editori Ricordi, nell’arco di appena due decenni, rivoluzionò il modo di intendere l’editoria musicale facendo stampare i cosiddetti “ Livrets de mise en scène “ nei quali il compositore annotava non solo come doveva essere organizzata la scenografia sul palcoscenico ma anche come dovevano essere interpretate le parti. L’impresario, comprando quell’opera comprava di fatto anche “ i libretti” e si impegnava cosi a mantenere la sequenza data dal compositore.
Da allora sul frontespizio del libretto comparve il nome del compositore al posto di quello del violinista o direttore d’orchestra.
 
 
Gli ultimi anni di Verdi vedono un sodalizio con alcune figure di particolare importanza: in primis Arrigo Boito con cui avvia un legame profondo non solo professionale ma anche amicale.
Con Boito Verdi compone le sue ultime opere in particolare l’Otello rappresentato per la prima volta alla Scala nel 1887 con il cantante Francesco Tamagno con il quale, dopo un iniziale controverso scambio di battute, avvia una costante collaborazione.
Di Tamagno si narra che fosse un ragazzo padre di una figlia che adorava, noto però anche per la sua tirchieria, ma che condivideva con Verdi una curiosa passione: erano infatti entrambi membri della “Confraternita della Polenta”.
 
 
L’Otello ebbe uno straordinario successo, tanto che si narra che all’uscita del teatro Tamagno avesse intonato per le strade alcuni dei brani più conosciuti dell’opera.
 
 
Nel 1893 - all'incredibile età di ottant'anni - con l'opera buffa "Falstaff", altro unico e assoluto capolavoro, dà addio al teatro e si ritira a Sant'Agata.
 
 
Dopo la morte di Giuseppina nel 1897, Verdi trascorre gli ultimissimi anni nella sua amata campagna e devolve una parte delle sue sostanze in filantropia costruendo l’Ospedale di Villanova Sull’Arda, ancora oggi funzionante, e impegnandosi anche nella bonifica dalla malaria di alcune delle terre di sua proprietà.
 
 
L’opera che lui stesso definisce la più bella si lega alla città di Milano che considera la sua seconda patria ed è “La casa di riposo per i musicisti”, opera dell’architetto Camillo Boito, fratello di Arrigo, con lo scopo di offrire ai musicisti non più in attività un luogo dove ritirarsi.
 
 
Nella cappella si trovano le spoglie della Strepponi e poi successivamente quelle di Verdi che si spense il 27 Gennaio 1901 al Grand Hotel de Milan.
 
 
Ai funerali di Verdi partecipa una folla immensa contravvenendo a quelle che furono le sue ultime volontà per un funerale strettamente privato.
Nel percorso che lo porta alla Cappella nella Casa di riposo per musicisti che lui stesso aveva voluto fondare quasi mille coristi diretti da Toscanini, intonarono il Va pensiero, e lungo il percorso si assieparono oltre 300 mila persone, arrampicate anche sugli alberi.