
- la presentazione di alcuni dati di riferimento
- la situazione delle donne
- la situazione dei giovani
- le possibili soluzioni e l’identificazione di un primo obiettivo concreto sul quale concentrare gli sforzi
Partiamo dai dati
In Italia, nel primo semestre del 2020, circa 500.000 donne hanno perso il lavoro abbassando così la percentuale di occupazione femminile al 48% in un Paese nel quale molto faticosamente si stava superando, anche se di poco, la percentuale del 50%, comunque la peggiore in Europa dopo quella di Malta. A loro volta, le previsioni sulla disoccupazione giovanile sono negative in tutto il mondo, allarmanti per l’Europa e ancora di più per l’Italia relativamente alla fascia 20-35 anni. Il dato globale riportato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro ci dice che più di un giovane su sei ha smesso di lavorare nel periodo Covid e post Covid, che quanti hanno mantenuto il posto di lavoro hanno comunque perso in media il 23% delle ore retribuite e che ovunque le giovani donne sono state le più colpite.Questa generazione, che qualcuno inizia a definire “Unlucky generation”rischia una grave transizione negativa sia dal punto di vista economico, che individuale e sociale.Tuttavia, nonostante questa condizione, o forse proprio per questa condizione, si stanno in qualche modo diffondendo una maggiore consapevolezza circa la necessità di una rigenerazione e la convinzione che occorra fare ricorso a quella che viene definita resilienza trasformativa, mutuata dai comportamenti delle piante.
La situazione delle Donne
Un capitolo a parte, ma che non può essere ignorato, riguarda il drammatico incremento della violenza domestica, triplicato in Italia a partire dal mese di marzo di quest'anno e che spesso porta le vittime ad una tragica fine.
Tra le possibili soluzioni a favore di una valorizzazione delle donne e dei giovani, la relatrice ne cita alcune lanciate dal Prof. Maurizio Ferrera che all'Università Statale di Milano insegna Scienza della Politica.
E’ dimostrata, attraverso gli studi condotti dagli Osservatori di genere, l'esistenza di pregiudizi inconsci di genere (gender bias) che spuntano in situazioni imprevedibili, perché prodotto di strutture mentali radicate nella cultura, nelle abitudini e nell’immaginario delle persone. Anche in Paesi dove più avanti è la lotta alle discriminazioni di genere, gli “unconsciuos bias” sono in azione e possono orientare scelte che quasi sempre penalizzano il genere femminile, frenando carriere e limitando la possibilità di crescita, anche economica. Di fatto impoveriscono tutta la società.
I pregiudizi colpiscono anche i giovani. «Proprio perché inconsci, è difficile che il portatore riesca a capirli fino a prenderne consapevolezza. Però abbiamo visto che se un osservatore esterno allenato a riconoscere i bias li fa notare esplicitamente a chi deve prendere decisioni, il quadro muta», sostengono il Prof. Ferrera e Barbara Stefanelli in uno dei Dossier apparsi sul Corriere della Sera.
Nei Paesi del Nord Europa funzionano già da tempo Osservatori composti da uomini e donne, con l’obiettivo di verificare se nel processo decisionale si verifichino delle deviazioni inconsapevoli che tendono a riflettersi, in via pregiudizievole, a danno di gruppi o di persone rispetto ad altri. L’Osservatorio non ha il compito di intervenire nel merito delle decisioni prese, ma piuttosto di far riflettere i decisori sui motivi profondi che li hanno spinti a seguire determinati percorsi.
Questi Osservatori potrebbero essere replicati anche da noi in vari consessi decisionali e potrebbero fornire una soluzione di sistema, ad un costo molto ridotto, sia nelle imprese private che pubbliche.
Una misura immediata è quella di agire sulla leva fiscale attivando dei sistemi di tassazione differenziata per incentivare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, avendo però estrema attenzione al tema complicato che riguarda i percettori di secondo reddito.
Ancora, è importante che le pratiche conciliatorie tra lavoro e famiglia siano condivise anche dai padri ed è necessario nel contempo attivare un piano di ristrutturazione sociale a partire dall'insieme dei servizi di cura, piuttosto che intervenire con temporanee elargizioni a cascata.
La situazione dei giovani (50% di loro sono giovani donne)
Quando si parla di disoccupazione giovanile non si parla soltanto di un’emergenza occupazionale chiusa in una bolla nera: un intero ciclo esistenziale è minacciato. Senza lavoro non c’è reddito, si è costretti a restare a casa dei genitori. Viene così rinviato a tempo, quello sì, «indeterminato» il momento in cui l’individuo costruisce la propria indipendenza e può sperimentare relazioni stabili di convivenza. Si considera giovane una persona sino a 35 anni, cioè a un’età in cui si dovrebbe essere nel pieno dell’attività e e impegnati nella costruzione del futuro proprio e del proprio Paese.
Secondo un’indagine di Eurofound, (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), il 20 per cento dei giovani si è “sentito solo” negli ultimi tre mesi, il 21 per cento si è dichiarato “nervoso e insoddisfatto”; il 16 “sconfortato”.

- cura dei piccoli e stimolo al loro sviluppo cognitivo-emotivo, aiuto al superamento di diseguaglianze socio-economiche
- maggiore sicurezza economica derivante dall'occupazione di entrambi i genitori, più consumi da parte delle famiglie
- più occupazione (in Italia l’assistenza all’infanzia crea a stento lo 0,2% di occupazione, in Francia il 2,5%)
- più equilibrio nei tempi di vita dentro e fuori casa