Rivalutare i sapori negletti per una alimentazione più sana e sostenibile

Relatrice: Prof.ssa Angela Bassoli

Docente di Chimica Organica e Basi Molecolari del Gusto presso l'Università degli Studi di Milano.  Defense Department of Food, Environment and Nutritional Science.

I meccanismi di funzionamento del gusto

Ciascuno dei nostri sensi è dotato di uno o più organi periferici attraverso i quali vengono inviati dei segnali al cervello, vera “centralina” delle nostre sensazioni: si usa dire infatti che noi “sentiamo con il cervello” più che con gli organi periferici. Nel cervello una piccola parte della corteccia è deputata a raccogliere i segnali che arrivano dagli organi periferici e a decodificarli.

Questa “fettina” è divisa in porzioni ognuna delle quali corrisponde ad uno dei sensi, ma le proporzioni dell’area non rispecchiano le proporzioni degli organi di senso corrispondenti; ciò è ben evidente tramite la raffigurazione di una mappa visiva - homunculus sensorio che descrive come i diversi sensi vengono rappresentati.

Da questa immagine si può notare che le mani e la bocca sono di proporzioni enormi: il fatto è che le aree sono tanto più grandi quanto maggiore è la loro importanza ai fini della percezione sensoriale. In particolare, nel cervello lo spazio dedicato alla percezione tattile e al gusto è molto più esteso di quanto ci aspetteremmo. Il senso del gusto, oggetto di approfondimento della relazione, è concentrato sulla lingua all’interno del cavo orale e non è solo legato alla sensazione di piacere che deriva dal cibo, ma anche alla funzione di analizzare il contenuto di un certo alimento riconoscendo le sostanze chimiche di cui è costituito e permettendoci così di distinguere i cibi ricchi di nutrienti indispensabili per il nostro sostentamento da quelli potenzialmente tossici o avariati.

Classificazione dei gusti

 
Tutte le culture – sottolinea la relatrice - si accordano sui 4 gusti fondamentali: dolce, amaro, acido, salato.
Aristotele ne aveva classificati altri tre: piccante, astringente e un ultimo forse riconducibile al grasso definito come “rugoso”.
Anche nella cultura indiana Ayurveda sono presenti il piccante e l’astringente.
Nella medicina tradizionale cinese è presente il piccante.
Nella nostra cultura occidentale è presente un quinto gusto chiamato umami.
Umami deriva dalla parola giapponese “umai”, che significa delizioso ed è il sapore associato all’amminoacido L-glutammato, contenuto negli estratti di carne e nei prodotti fermentati, cui conferisce il particolare sapore.
Il piccante che è presente in tutte le altre culture non è però considerato in quella occidentale e ne capiremo la ragione.
Due giovani chimici Tomas Pluskal e Jing-Ke Weng in un recente articolo hanno così sintetizzato il processo di mediazione dei gusti:
  • gli esseri umani percepiscono le informazioni sull’ambiente circostante attraverso i sensi;
  • questi messaggi vengono registrati da numerosi “sensori” specializzati, i recettori (proteine che si trovano sui nostri organi di senso).
  • in natura esiste una moltitudine di molecole bioattive in grado di legarsi a questi recettori
Ad esempio, quando mangiamo il peperoncino, il principio attivo in esso contenuto, la capsaicina, va a legarsi al suo recettore generando un segnale che noi decodifichiamo come sensazione di calore o anche di fastidio, in taluni casi addirittura di dolore.
Il piccante, più che un sapore appartiene a una sensazione (nella lingua inglese peperoncino si dice hot cioè caldo) ed è questo il motivo per il quale non è classificato come gusto nella nostra tradizione culturale.
 
Gli alimenti ci inviano principalmente tre tipi di segnali:
Il primo tipo è di individuazione- accettazione ed è quello legato ai nutrienti essenziali: ad esempio il dolce ci dà un segnale di accettazione. Gli zuccheri sono per noi una fonte di energia primaria e dal momento che in natura le cose dolci sono pochissime, il segnale di accettazione è molto forte, quasi un invito ad approvvigionarci di dolce quanto più possibile (farne scorte).
Lo stesso tipo di segnale ci viene dato anche, in una certa misura, dal sale che, in bassa concentrazione, ci è altrettanto indispensabile.
Il secondo tipo di segnale è invece un segnale di divieto che ci avvisa che in un determinato alimento possono essere presenti composti potenzialmente tossici, spesso associati ad alcune classi di composti amari, come gli alcaloidi.
La maggior parte delle sostanze amare sono prodotte dalle piante, che hanno evoluto la strategia di accumulare metaboliti secondari amari (quali polifenoli, flavonoidi, isoflavoni, terpeni e glucosinolati) per difendersi dagli erbivori e dai patogeni.
Infine anche il gusto acido, che può essere segnale di cibo avariato, può essere tollerato.
La maggior parte dei segnali che ci provengono dagli alimenti non appartengono però né alla prima né alla seconda categoria (si/no), ma sono segnali più complessi.
Il terzo tipo di segnale è un segnale di attenzione e fa riferimento all’individuazione di sostanze farmacologicamente attive.
Ciò significa che un determinato alimento contiene qualcosa di potenzialmente attivo sull’organismo; l’essere poi, più o meno dannoso, dipende da un serie di fattori quali il sesso, l’età, lo stato di salute, la dose ingerita (tipicamente i farmaci)
La maggior parte delle sostanze amare attiva un segnale di attenzione anche se occorre ricordare che solo il 15% delle sostanze amare è tossico.
Lo stesso tipo di segnale è associato alle sensazioni somatosensoriali ossia a tutti quei sapori, solitamente associati alle spezie e alle erbe aromatiche, quali il piccante o il pungente, che provocano appunto sensazioni di caldo o di freddo.
Purtroppo, avverte la relatrice, non siamo in grado di leggere questi segnali in quanto la nostra dieta è ampiamente sbilanciata verso la predilezione di sapori dolci, salati e grassi, laddove in altri tipi di culture sono invece molto più presenti i sapori amari, acidi e anche speziati.
Questo sbilanciamento è la causa dell'insorgenza di gravi patologie quali l’obesità, il diabete, l’ipertensione, che si presentano sempre più precocemente e che quindi colpiscono anche i bambini.
A livello ambientale la conseguenza è la perdita della biodiversità in termini di specie vegetali. E a livello sociale la conseguenza è lo spreco alimentare, perché gli alimenti considerati amari diventano spesso rifiuti alimentari.
 

Il problema dei gusti negletti. Come recuperarli

I gusti riconosciuto come “negletti” sono

            L’amaro 

in realtà contiene sostanze benefiche per la salute, ad es. i polifenoli, i glucosinolati che sono i principi attivi che si trovano in tutte le crucifere e sono protettivi nei confronti di alcuni tipi di tumori, come pure i terpeni, principi che si trovano negli oli essenziali

           L’acido

      

è presente in tutti quei cibi fermentati che oggi chiamiamo probiotici o prebiotici, quali yogurt, kombucha, kefir, paste acide, injera eritrea, il kimchi coreano definito dall’OMS come uno dei cibi più salutari al mondo. Tutti questi prodotti sono oggi molto rivalutati dal punto di vista del microbiota intestinale.

        Lo speziato

le spezie hanno una importante attività antinfiammatoria, pensiamo agli antinocicettivi contro il dolore, agli antimicrobici, (zenzero, curcuma) ma anche l’olio d’oliva.
 
A questo punto la relatrice ci riporta al tema dei recettori del gusto e al loro funzionamento.
Mentre esiste un unico ricettore del gusto dolce che funziona allo stesso modo per tutti gli individui, esistono ben 25 recettori del gusto amaro che variano però a seconda dei soggetti.
Questi tipi di recettori hanno infatti un’alta variabilità genetica da cui derivano le differenze sia a livello individuale che a livello di intere popolazioni perché viene modulata una percezione dell’amaro diversa da persona a persona.

     

Tale variabilità subisce ulteriori modificazioni in relazione all’età: basta pensare alla spiccata preferenza dei bambini per il dolce e l’avversione per l'amaro che invece, a piccole dosi, comincia ad essere gradito nell’adolescenza (caffè, nicotina, birra).
Pochissimi anni fa si è scoperto che il gusto amaro si percepisce anche all'interno del corpo: i recettori dell’amaro non sono dunque sede soltanto nella bocca, ma si trovano anche in altri organi sui quali esercitano una funzione diversa.
Esiste “un distretto” di questi recettori che riguarda le alte vie respiratorie, l’epitelio nasale, la trachea, i bronchi: ad es. nei bronchi hanno la funzione di rilevare dei metaboliti secondari che vengono prodotti in seguito ad alcune infezioni batteriche o virali e producono dei segnali di difesa, come la tosse o lo starnuto.
I recettori dell’amaro agiscono anche a livello di apparto digerente, dove sembra che la loro funzione sia quella di regolare la digestione e il senso di sazietà; ciò è di grande interesse per lo studio dei meccanismi di regolazione dell’appetito in relazione alle malattie metaboliche o alle disfunzioni alimentari (anoressia, bulimia).
E’interessante ricordare che nella nostra tradizione gastronomica le sostanze amare sono state usate (e sono usate) o come aperitivo, per stimolare l’appetito, o come digestivo, per dare un segnale di stop. Se riuscissimo ad accettare maggiormente le sostanze amare potremmo incorporare delle sostanze che vengono addirittura definite “cibo medicina” quali ad es. il tarassaco, il the verde, i lampascioni, il ginseng, o il bitter melon che è un potentissimo ipoglicemizzante.
 
Un’altra famiglia interessante dei gusti negletti è quella dei cosiddetti TRP (Transient Receptor Potential Channels) che sono recettori diversi dei sapori quali il piccante (hot), il rinfrescante (cooling), il pungente, il freddo della menta, alcuni tipi di pepe: la sensazione che si può produrre è quella della lingua anestetizzata, di formicolio, di solletico, tutte sensazioni che non sono gusti in senso stretto, ma che sono comunque ad essi riconducibili.
I TRP, oltre a farci sentire le sensazioni gustative, sono anche mediatori delle sensazioni dolorose; sono ubiquitari e geneticamente conservati, ossia si sono conservati durante l’evoluzione e sono molto simili nell’uomo e negli animali (a differenza dei recettori del gusto che hanno subìto pesanti modificazioni). L’evoluzione li ha dunque preservati dai cambiamenti, il che indica che hanno una funzione primaria e sono in grado di percepire tutti i segnali dell’ambiente circostante, non solo i gusti, ma anche i suoni, i movimenti, l’equilibrio e, come già detto, fanno da mediatori delle sensazioni dolorose.
I recettori della piccantezza e della pungenza sono coinvolti nella desensibilizzazione dei fenomeni infiammatori e vengono quindi utilizzati come farmaci: tra questi annoveriamo l’oleocantale (sostanza organica presente nell’olio di oliva) la cui molecola è molto simile a quella dell’ibuprofene, l’erisimo o erba dei cantanti, l’aglio, la cannella e poi ancora curcuma, zenzero…
Le diete ricche di composti attivi su questi recettori TRP (molti tipi di spezie, aglio, peperoncino, piante aromatiche) sono collegate, dal punto di vista antropologico, a popolazioni che vivono in situazioni climatiche e ambientali estreme, con uno sviluppo economico scarso e conseguentemente avvezze a lavori molto faticosi e con un’alta resistenza al dolore fisico.
Esiste dunque una dieta per la prevenzione del dolore?
Una precisa correlazione non è ancora dimostrata anche se la natura, attraverso gli alcaloidi, offre una serie di possibilità in questo senso; il meccanismo però è completamente diverso perché passa dal sistema nervoso centrale.
 
Una riflessione sulla nuova ecologia del gusto
 
 
Come occidentali ci troviamo, al momento, in un circolo vizioso perché la nostra istintiva preferenza verso gli alimenti dolci, salati e grassi fa sì che l’industria continui a produrli in grandi quantità; i nostri recettori, abituati a questi gusti, tendono a rifiutare gli altri. Occorre dunque una strategia per riequilibrare questo sbilanciamento, non solo attraverso la scienza, ma coinvolgendo la società.
La soluzione ancora una volta passa attraverso l’informazione e lo sviluppo della cultura.
Se intervenissimo con una educazione al gusto, comprenderemmo come funzionano i recettori gustativi e soprattutto qual è la loro funzione reale non solo a livello di papille gustative, ma anche all’interno del nostro organismo.
Di conseguenza saremmo più portati ad esplorare i sapori negletti, i nostri ricettori si adatterebbero e potremmo modificare le nostre abitudini alimentari nel senso di una maggiore differenziazione.
Questo comporterebbe dei benefici non solo in termini di biodiversità gustativa e alimentare, ma porterebbe un beneficio anche alle stesse industrie alimentari che, producendo nuovi prodotti, amplierebbero la loro offerta.
Infine la nostra relatrice ci propone una riflessione sul termine consumatore per farci riflettere sul fatto che il nostro atteggiamento nei confronti degli alimenti non dovrebbe essere solo legato al consumo, ma piuttosto legato alla scelta, esattamente come i nostri recettori e la stessa biologia ci suggeriscono.
In una società che sta andando verso modelli più sostenibili di economia, e nella quale questi modelli stanno interessando una popolazione sempre più vasta, può avere senso sostituire il termine consumatore con il neologismo creato dalla professoressa, eligiter.
Questo termine non esiste in inglese, ma ha una sua assonanza, e deriva dal latino eligere che significa scegliere.
L'avvertenza conclusiva è che il gusto non rappresenta una piccola nicchia di ricerca, ma è un aspetto che può avere ricadute positive sull’ambiente e su tutta la filiera agroalimentare e sulla salute, e può creare nuovi atteggiamenti culturali in termini di apertura verso il mondo, di collaborazione con i Paesi meno sviluppati, di recupero di tradizioni di filiere, di cibi ancora da scoprire.