Come Milano è diventata .....di moda

 
 
Un lungo tour raccontato dall'Arch. Monica Torri di MAART nel mondo della moda attraverso un percorso storico che parte dalla Milano sforzesca e arriva a Giorgio Armani. Di qui il titolo, dove greige è un neologismo semplicemente sintetizzato nella fusione linguistica e cromatica di due colori, il beige con il grigio, lanciato proprio da Giorgio Armani.
Sintesi a cura di Tiziana Orsini
 
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Si deve a  Jole Veneziani figura importante della Milano degli anni 40 e 50 l’aver radicato il clou della moda milanese nel cosiddetto quadrilatero, ancora oggi punto di riferimento,  che trova in Palazzo Morando il suo museo.
 
Dai Visconti agli Sforza
 
      
 
Il racconto ci porta nell’epoca viscontea e in particolare a Filippo Maria Visconti, signore di Milano, che nel 1442 fa venire da Lucca i primi abili artigiani per importare in città la tecnica per lavorare la seta, tecnica che era già presente in Firenze e Venezia.
Qualche anno dopo, Galeazzo Maria Sforza, figlio di Francesco e Bianca Maria Visconti, (1475 ritratto del Pollaiolo) testimonia la sua  passione per il lusso anche negli abiti.
 
 
Da notare il taglio nel “giro manica” che consentiva il cambio delle maniche ovviamente più soggette a sporco e usura. Un altro dettaglio interessante sono i guanti, segno di ricchezza e nobiltà, che erano una produzione specificamente milanese. Si producevano guanti in camoscio, rinomati in tutta Europa, alcuni dei quali, altro particolare interessante, erano addirittura profumati all’interno.
Un’altra figura chiave di questo momento storico è quella di Ludovico il Moro, fratello e forse anche mandante dell’assassinio di Galeazzo: il soprannome non gli deriva tanto dal caschetto di capelli neri, quanto dall’avere incentivato la coltivazione dei gelsi mori, in dialetto milanese muròn – dal latino morus – ossia gelso, cibo appunto per i bachi da seta.
 
     
 
Nell’immagine i gelsi mori dipinti da Leonardo nella sala delle Asse del Castello Sforzesco.
Nei 20 anni in cui Ludovico governa sulla città di Milano fino alla fine del 400, la città diventerà la più rinomata d'Europa per la produzione di tessuti di seta.
 
 
Ricchissimi sono gli abiti da cerimonia in velluto di seta del Moro e della moglie Beatrice qui ritratti nel giorno delle nozze.
Si narra che Beatrice fosse proprietaria di ben 83 abiti commissionati dal marito Ludovico al momento delle nozze.
Da notare in particolare la ricchezza delle maniche che venivano legate al corpetto con dei nastri che rappresentavano un ulteriore elemento decorativo. Le maniche erano spesso di stoffa diversa e intercambiabili ed erano talmente importanti che addirittura venivano inserite nei testamenti.
Grande era l’importanza per l’economia dei mastri setaioli al punto che Venezia, rinomatissima per la preziosità dei tessuti, aveva emesso un bando per il quale se un maestro tessitore si fosse trovato ad operare fuori dai propri confini sarebbe stato punito con il taglio della mano!
 
 
Una notevole rassegna di tessuti rinascimentali, fortunatamente ancora ben conservati, sono esposti al Museo Poldi Pezzoli.
 
  
 
Anche Leonardo si è occupato più o meno direttamente di moda; disegnava costumi e acconciature per la corte sforzesca.  Leonardo lavorò anche ad un telaio meccanico immaginando con 400 anni di anticipo una produzione intensiva di tessuti. 
 
   
 
Il modello, funzionante, si trova esposto al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.
 
 
 
Il velluto diventa il tessuto dominante nei colori azzurro, distintivo del casato degli Sforza, ma soprattutto del rosso utilizzato per le cerimonie. Il colore rosso arrivava da Genova attraverso una polvere ricavata dall’essicazione delle femmine di una particolare cocciniglia.
Per ricavare 1kg di questa polvere rossa occorrevano circa 100.000 insetti! 
 
     
 
I velluti che venivano prodotti subivano un processo estremamente complesso per arrivare ad un velluto a doppia altezza che permetteva un grande effetto scenografico con due colori. Spesso questi tessuti venivano arricchiti con la canottiglia – sottili fili d’oro- con i quali si avvolgevano i fili di seta in modo da conferire preziosità e lucentezza.
 
Continuando nel percorso storico, sotto la dominazione degli Spagnoli, la città conosce un ulteriore progresso soprattutto nel commercio: c’è un forte interscambio di tessuti con le  Fiandre e con la Francia, soprattutto verso Lione,  e dalla Francia entrano invece tessuti che provengono dall’Inghilterra.
 
 
Gli abiti sono estremamente sfarzosi, secondo la moda spagnola, e si vedranno fino all’ inizio del 1600 quando, sia per effetto della controriforma che per la peste, il re di Spagna stabilisce che i nobili e coloro che lavorano nelle amministrazioni pubbliche si debbano vestire di nero come si vede nel dipinto del Moroni conservato al Poldi Pezzoli.
 
 
Compare in questo periodo la figura del “tecnico della moda”, escluso dall’imposizione dell’abito nero, come si può notare nel dipinto del Sarto ancora del Moroni.
 
 
Nella Milano asburgica si ritrovano abiti sfarzosi, ma, a seguire, la breve folgorante stagione napoleonica riflette anche nella moda il rimescolamento delle carte tra le classi sociali.
 
      
 
Scompaiono gli abiti sgargianti e ricamati d’oro, si cestinano le parrucche, gli spadini e le scarpette dalle fibbie d’argento e si abbandonano i corsetti in favore di una forma più naturale.
La moda femminile segue gli ideali del classicismo: la figura visibile del seno era parte di questo aspetto classico del costume, visto come elemento di grande estetica e sensualità.
 
La moda francese
 
 
    
 
L’influenza della moda francese continua anche nei primi decenni dell’800 e traspare anche nelle pubblicazioni già di primo 800 con il Corriere delle Dame. In questo contesto cominciano ad affermarsi una serie di riviste, quali “La Ricamatrice” rivolte proprio al pubblico femminile.
 
L'imprenditoria tessile
 
 
In questi anni intorno a Milano nascono le prime filande ad anticipare uno sviluppo dell’industria tessile in territorio lombardo che negli anni 40 dell’800 contava circa 600 produttori di filo di seta.
La mano d’opera era soprattutto femminile, si lavorava 12 ore al giorno, non solo in fabbrica ma anche a casa e venivano impiegati anche i  bambini che erano preposti alle consegne.
 
 
La società subisce però dei profondi cambiamenti e le dure condizioni lavorative portano nel 1902 allo sciopero delle piscinine , bambine tra i 6 e i 15 anni costrette a compiere lavori non adatti alla loro età e non adeguatamente retribuiti.
Rivendicavano il raddoppio del salario che era di appena 35 centesimi, la riduzione delle ore lavorative, e  la limitazione del peso dello  “ scatolone” che trasportavano in base all’età.
 
Le antesignane del Made in Italy
 
 
Figura chiave della trasformazione in atto e antesignana della emancipazione femminile è quella di Rosa Genoni che ottenne un grande successo con il padiglione presentato all’Esposizione internazionale di Milano del 1906,  dove propose abiti di grande pregio ispirati alla tradizione dell'arte pittorica italiana Rinascimentale.
 
 
Tra le sue creazioni il celebre abito da ballo ispirato a Flora dalla Primavera del Botticelli.
Figura poliedrica, imprenditrice, fervente antifascista, era stata promotrice di alcune istituzioni formative delle piscinine, una vera antesignana del Made in Italy.
Inizia da lei quello che viene detto “Lo stile Milano” attento all’eleganza, ma allo stesso tempo anche alla praticità.
Nel 1913, su progetto del Mengoni, Corso Vittorio Emanuele si correda di vetrine e nello stesso periodo apre in Galleria uno dei marchi del nostro presente, Prada, che inizia come valigeria per affermarsi poi come regio fornitore.

Proseguendo nel percorso storico arriviamo al ventennio; il mondo della moda fu attraversato dalle esigenze autarchiche in primo luogo perché non si doveva più fare riferimento ai modelli stranieri, in particolare francesi, e poi, perché i materiali stessi per la creazione di abiti e accessori venivano ad essere radicalmente modificati.

       

La prima fibra artificiale ad essere sfruttata fu il già esistente rayon derivato da fibre di cellulosa di legno o di cotone, che la Snia Viscosa produceva già dal 1922 - seguita da prodotti autenticamente italiani come il lanital, realizzato con fiocchi di caseina, la cisalfa, sempre derivata dalla cellulosa, e il cafioc, cotone di fiocchi di canapa.
Negli anni 40 fa la sua comparsa sulla scena milanese Biki , pseudonimo del  soprannome "Bicchi" derivato da "birichina” datole da Giacomo Puccini per il quale era una nipote acquisita.
Biki vive dunque in un ambiente raffinato, aristocratico, ricco, colto, tra musica, teatro, arte e un diffuso gusto naturale per l’eleganza. Diventa sinonimo dell’eleganza italiana e lo fa soprattutto  attraverso la Callas della cui trasformazione fu senza dubbio artefice.
 
 
La leggenda vuole che avendola sentita cantare alla Scala nei Vespri Siciliani pare avesse detto che vestirla sarebbe stato un problema! Rifiuta infatti la richiesta di Meneghini di vestire la moglie perché, pur essendo una cantante di grandissimo talento, non possedeva una figura appunto facile da vestire.
Ma la Callas in breve tempo dimagrisce di circa 30 Kg, Biki accetta e sarà la sua fortuna.
 
Gli anni 50 e 60 sono per la moda italiana ricchi di stiliste di grande talento.
 
 
Da Jole Veneziani che, con pellicce e non solo contribuirà in modo determinante al made in Italy  a
 
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Germana Manucelli che organizza nella sua casa atelier anche premi letterari (immagine) realizzando i primi collegamenti tra moda, arte e cultura.
Il rigato optical dell’immagine è molto vicino alle opere di artisti  come Dadamaino.
 
 
La Manucelli stabilisce un sodalizio importante con Getullio Alviani che la porta a creare la linea “alluminio” con una forte innovazione anche nell’uso dei materiali.
 
                    
 
Nel 1958 Mila Schön realizza un abito dove introduce dei tagli  che ricordano i tagli di Fontana  e, sempre in questi anni, inventa il “double”.
 
   
 
Anche Raffaella Curiel raccoglie il testimone di moda ispirata dagli artisti trasportando le loro opere dalle tele ai tessuti.
 
   
 
Nel 1954  fa la sua comparsa nella moda milanese Krizia, ribattezzata dai giornali americani Crazy Krizia, per il suo approccio molto innovativo e sperimentale. Divenne celebre anche per l’utilizzo dei calzoncini corti, per l’utilizzo di lamè  dorato,  per l’uso del plissettato e di elementi metallici, oltre al sughero, alla gomma, a pelli particolari come ad esempio quella di anguilla. 
 
Giorgio Armani e il ...greige
 
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Arriviamo al 1975 e “lo Stile Milano” trova in Giorgio Armani la sua più valida testimonianza.
La sua prima esperienza lavorativa nell’ ufficio acquisti di Rinascente gli consente di entrare in contatto con tutto ciò che nel campo del costume e dell’arredo si muove sulla scena europea.
Durante gli anni in cui lavora per Cerruti comincia ad apprezzare le peculiarità dei tessuti; parte del grande successo che ha Armani a soli 5 anni dall’apertura della sua azienda in “un ufficietto di Porta Venezia” è dovuto, nel 1980,  al film American Gigolò in cui di Richard Geer indossava una serie di abiti non “divisa da ufficio”, ma di una linea morbida ed elegante. 
 
 
Armani rivoluziona lo stile delle giacche; elimina l’ingessatura e la rigidezza tipica della giacca tradizionale e la modella sulla figura dell’uomo, non nascondendo la forma fisica, ma anzi esaltandone ogni aspetto.
 
  
 
Negli stessi anni 80, quelli della "Milano da bere", un’altra figura molto importante, Gianni Versace, fa da contraltare inaugurando   un modo di fare moda che è anche spettacolo con abiti anche molto provocatori indossati da splendide modelle.
 
   
 
Non si può dimenticare Gianfranco Ferrè della stessa generazione di Armani e Versace, di formazione architetto, la cui impostazione si rileva in particolare dai figurini.
 
 
L'inevitabile conclusione in omaggio alla moda milanese, si traduce nell’ ultima immagine della Curiel che indossa la "milanesità " trasformando il Duomo di Milano in un abito.