A che cosa servono, perché vanno di moda? Che cosa ci riserva il futuro?
Ha senso investire in criptovalute oggi?
Relatori: Federico Vasoli e Ettore Fumagalli soci del Club
Premessa
Per capire il bitcoin, o più in generale le criptovalute, di cui il bitcoin copre circa il 60% del mercato, occorre prima chiarire il concetto di blockchain che è la tecnologia che permette alle criptovalute di circolare: non si ha una criptovaluta senza una blockchain, ma le blockchain possono esistere anche senza le criptovalute e servire ad altri scopi.
La blockchain technology è un protocollo di comunicazione identificato da una tecnologia basata sulla logica del database “distribuito”.

Le informazioni vengono inserite in un database che distribuisce le informazioni su più computer/server collegati tra loro, chiamati “nodi”. Semplicemente, il segreto risiede nella capacità di gestire e creare un grande database strutturato in blocchi ovverosia maglie di rete, resi sicuri mediante l’uso della crittografia e destinati a rimanere concatenati tra loro (chain).
Nei sistemi centralizzati e anche in quelli decentralizzati le informazioni sono concentrate in uno o più server al/ai quali attingono i vari client che possono a loro volta “attaccare” con informazioni false i server stessi con alta probabilità di infettare l’intero sistema.
Nel database distribuito tutti i nodi della rete memorizzano tutti i blocchi e quindi tutta la blockchain. Ogni blocco è identificato da un codice, contiene le informazioni di una serie di transazioni e contiene il codice del blocco precedente così che sia possibile ripercorrere la catena all’indietro fino al blocco originale. Ciò non esclude che all’interno della catena non possano esserci informazioni false, ma poiché l’informazione deve essere validata da tutti i nodi della catena allora risulta statisticamente molto difficile che all’interno della catena viaggino informazioni false, anche perché normalmente un attacco informatico parte da un “lupo solitario”, appunto isolato, rispetto alla maggioranza degli altri nodi. Quando l’informazione è validata da tutti i nodi della catena si ha immutabilità e quindi si può disporre di dati che non possono essere modificati.
Se c’è questa validazione fra tutti i componenti che non necessariamente si conoscono e ci fidiamo di questo network perché le informazioni che viaggiano sono validate da ciascun nodo, l’elemento soggettivo che si crea è la fiducia.
Le criptovalute

Il fatto che si crei fiducia all’interno di una blockchain fa sì che si possa creare una valuta all’interno della catena che è una criptovaluta.
Il denaro che circola, dopo lo svincolo della convertibilità tra oro e dollaro, non è sufficiente a ripagare l’enorme debito in circolazione; è solo la fiducia che consente alla moneta di poter essere scambiata con beni e servizi.
Le criptovalute essenzialmente sono nate come incentivo all’utilizzo di questa tecnologia, poi si sono diffuse come soluzione per una serie di problemi del sistema finanziario tradizionale.
Il World Economic Forum prevede che nel 2025 il 10% del PIL globale potrebbe essere generato da beni e servizi che passano attraverso la blockchain, quindi non solo i bitcoin, ma anche altre criptovalute.
Un problema enorme delle criptovalute è legato al fatto che, come tutto ciò che viaggia in rete, sono strumenti globali ma, finché esiste un primato normativo degli Stati, questi hanno nel merito regolamentazioni diverse o addirittura assenza di regole o contrasto netto come ad esempio è accaduto in Cina; questi strumenti, pur essendo transnazionali, non sono pertanto disciplinati da altrettanti accordi.
In un database distribuito, come precedentemente osservato, manca un centro, che è invece presente in quello centralizzato (rappresentato ad es. da una Banca centrale o altra Authority); questo pone dei problemi regolatori molto grandi in quanto non esiste un soggetto emittente.
In realtà un emittente esiste ed è rappresentato dal soggetto che crea la blockchain; potrebbe però trattarsi anche di una società con capitale esiguo, rispetto ai danni creati, e che per questa cifra risponderebbe in caso di fallimento.
Il fatto di non avere un ente regolatore centrale ha favorito “gli antisistema” contro la finanza tradizionale, le banche, gli Stati e ha alimentato l’ideologia della democratizzazione della finanza digitale.
Gli studi in corso promossi da Janet Yellen per valutare la creazione di un dollaro digitale, o dalla BCE per un euro digitale o dalla Cina stessa rispondono ad una precisa esigenza di regolamentazione e pertanto si pongono in netta antitesi con l’impostazione originaria di una blockchain.
In un’ottica di regolamentazione e trasparenza è importante dunque individuare
- chi è il regolatore;
- quale legge si applica;
- e anche in applicazioni diverse dall’ emissione di token quando una organizzazione è distribuita quali sono i livelli di responsabilità.
Se, all’interno della blockchain tutto avviene in maniera automatizzata attraverso “gli smart contract” (protocolli informatici di tipo parametrico basati sul verificarsi o meno di determinate condizioni) risulta poi difficile risalire alla responsabilità.

Creazione di una criptovaluta
Esistono diversi tipi di token.
Il bitcoin è un token ad emissione limitata cioè ce n’è una quantità finita.
Il paragone può essere fatto con l’oro, sicuramente una quantità finita, e che può solo essere estratto dalle miniere.
Esistono tuttavia anche dei token infiniti come ad esempio ethereum.
L’emissione di un token avviene con un algoritmo attraverso la creazione di una rete informatica: sulla base di una serie di parametri si determina il valore dell’emissione iniziale, in modo simile a quanto avviene con l’emissione di azioni e, analogamente si parla ICO (Initial Coin Offering) invece di IPO, anche se attualmente la formula più utilizzata è quella dell’IEO (Initial Exchange Offering)
Tale emissione non è però regolamentata in gran parte degli ordinamenti.
I bitcoin si possono acquistare in luoghi virtuali regolamentati, denominati “exchange” che sono assimilabili alle Borse e su tali piattaforme si possono attuare degli scambi monetari tra bitcoin, altre criptovalute e altre monete “fiat”.
L’altro strumento per acquisire il bitcoin è il cosiddetto “mining”, ossia una vera e propria estrazione mineraria seppur virtuale dalla propria blockchain.
(Bitcoin è infatti il nome sia della blockchain che della criptovaluta, e ciò ha ingenerato qualche confusione).

Il termine mining significa scavare, estrarre e viene dalla parola inglese “mine”, che significa anche miniera. Questa espressione spiega alla perfezione il funzionamento del mining, che consiste nella creazione di monete virtuali tramite un “duro lavoro” informatico che sfrutta la capacità di calcolo dei computer invece della forza fisica di un minatore.
Il bitcoin mining è stato progettato dai creatori delle criptovalute in modo da diventare sempre più complesso con il passare del tempo, affinché l’aumento della valuta disponibile nel mercato sia proporzionale al suo valore e alla difficoltà di reperibilità (in questo caso anche di produzione). Calcoli sempre più complessi richiedono computer più potenti e più energia elettrica consumata; si è arrivati a calcolare che il dispendio energetico per l’attività di mining per l’estrazione di un solo bitcoin equivale al consumo annuo di energia di uno stato come la Norvegia, energia, purtroppo, non green. Ciò ha provocato fortissime contestazioni che hanno visto leader della protesta Bill Gates, all’estremo opposto un altro miliardario come Elon Musk che, dalla speculazione sui bitcoin ha tratto grandi profitti. Non tutti i coin richiedono queste operazioni di mining.
Fondamentalmente ci sono due tipologie di token: gli utility e i security

I security token hanno un utilizzo simile a quello dato dai prodotti finanziari tradizionali e sono dunque regolamentati ad esempio in Europa dalle MIFID, così come negli USA è l’unica tipologia riconosciuta concedendo diritti di partecipazione al reddito futuro o all'aumento di valore dell'entità che li emette.
Gli Utility token concedono diritti di accesso a servizi o prodotti all'interno della blockchain e il loro utilizzo è assimilabile a quello di un voucher, possono essere interscambiabili su più catene e non sono sottoposti alle regolamentazioni necessarie ai security tokenI token non hanno corso legale e dunque l’accettazione come mezzo di pagamento è su base volontaria; non sono regolati da enti centrali e governativi, ma sono generalmente emessi e controllati dall’ente emittente secondo regole proprie, a cui i membri della comunità di riferimento accettano di aderire.
Rispetto alla quantità finita dei bitcoin, l’emittente aveva stabilito che non ci potessero essere più di 21 milioni di pezzi; attualmente ce ne sono in circolazione 18 milioni e quindi il bitcoin diventa un asset e comunque inalterabile e, continuando il paragone con l’oro, mentre l’oro è inalterabile materialmente, il bitcoin è inalterabile digitalmente.
Secondo i nostri relatori non si può considerare il bitcoin come una valuta di transazione poiché privo della fiducia universale garantita dagli accordi interstatali, ma solo dall’accordo tra parti consenzienti.
Sul mercato viene considerato alla stregua di un asset di investimento e quindi soggetto a speculazione: è molto controverso tra gli esperti finanziari il considerare affidabile il bitcoin come un asset di investimento, anche se teoricamente è possibile, e alcuni fondi di investimento “investono” in parte anche sui bitcoin.
Viceversa se fosse emesso il dollaro o l’euro digitale questi sarebbero da considerarsi monete a tutti gli effetti perché c’è l’accordo fra gli Stati. Euro o dollaro digitale sarebbero un ulteriore strumento per colpire l’evasione e avere la tracciabilità dei flussi attraverso la blockchain. Laddove manca il controllo e la regolamentazione è più facile procedere con operazioni illecite.
Indipendentemente dalla emissione di criptovalute, la tecnologia blockchain rappresenta una grande innovazione e può avere infinite applicazioni là dove siano indispensabili sicurezza e affidabilità che solo un sistema distribuito può consentire, come per la tracciabilità di prodotti e processi o per la registrazione di voti in società, assemblee e persino elezioni politiche